Lo svolgimento illecito di attività di gestione di rifiuti. Deposito di rifiuti sanitari pericolosi.
Parte I
L’articolo 256, comma 1, del Codice dell’Ambiente ed inquadramento delle relative fatispecie, contempla una contravvenzione nei confronti di chiunque effettui una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione.
La norma indica come soggetto attivo “chiunque”. La disposizione non prevede pertanto alcuna delimitazione soggettiva, essendo invece necessario ai fini dell’integrazione della fattispecie che si tratti di un’attività e non di singolo atto di gestione. La circostanza che l’effettuare una delle menzionate attività renda destinatari dell’obbligo giuridico di chiedere l’autorizzazione non muta la natura del reato in esame, che resta comune e non proprio.
Elemento soggettivo minimo occorrente è la colpa. Una questione di cui si è occupata la giurisprudenza attiene alla configurazione come istantaneo o permanente della contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, con le evidenti ricadute che dall’adesione all’una o all’altra tesi discendono in ordine all’identificazione del dies a quo per il decorso del termine prescrizionale, coincidente nel secondo caso con la cessazione della permanenza.
Evidente, peraltro, che l’adesione alla tesi della natura istantanea del reato comporta l’irrilevanza penale di condotte isolate ed occasionali.
Orbene, di recente la Cassazione si è schierata per la tesi della natura istantanea del reato, che si perfeziona nel momento in cui si realizza la singola condotta tipica, a meno che , nel caso in cui la condotta è ripetuta, non si configuri come reato eventualmente abituale. Si è sostenuto in sostanza come sia sufficiente un unico episodio di raccolta o di trasporto ad integrare la fattispecie incriminatrice.
Si è tuttavia obiettato come la norma faccia riferimento ad una “attività”, sicchè sarebbe logico pensare che il legislatore abbia inteso riferirsi all’effettuazione di un complesso unitario di atti di gestione e non al compimento di un singolo atto.
È questa la tesi condivisa, peraltro, da quegli autori i quali ritengono che l’incriminazione del comma 1 dell’art. 256 descriva una condotta perdurante nel tempo che integra un tipico reato permanente, il quale cesserebbe quando venga meno la gestione dei rifiuti o, alternativamente, quando sia ottenuto il titolo per lo svolgimento legittimo dell’attività.
Si afferma pertanto come la contravvenzione non possa ravvisarsi allorché sia provato il compimento di un solo atto; ciò non toglie che anche una condotta isolata abbia la capacità di ledere il bene giuridico ambiente, integrando però in tal caso eventualmente tale condotta una delle fattispecie previste dal codice penale, quali ad es. quella del getto pericoloso di cose di cui all’art. 674 c.p.
Il comma 6 dell’art. 256 incrimina la condotta di chiunque effettui il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi, con violazione delle disposizioni di cui all’articolo 227, comma 1, lettera b.
I rifiuti sanitari, sia allo stato solido, sia allo stato liquido, possono presentare infatti delle caratteristiche di pericolo per i potenziali soggetti esposti, con rischi specifici correlati alle diverse tipologie d’attività svolte.
Al fine di limitare al massimo questi fattori di rischio, occorre che vi sia una precisa conoscenza delle procedure organizzative tese alla minimizzazione dei rischi stessi.
Nell’organizzazione del lavoro all’interno delle varie strutture, si deve quindi tener conto anche della “problematica rifiuti”, considerata alla stregua di un macroprocesso che interessa trasversalmente tutta l’organizzazione sanitaria.
Una gestione controllata dei rifiuti deve pertanto prevedere l’adozione di modalità operative standardizzate che garantiscano il rispetto della sicurezza degli operatori e il rispetto degli obblighi derivanti dai dettami normativi.
Le strutture sanitarie sono pertanto tenute a dotarsi specifici regolamenti, al fine di garantire una gestione dei rifiuti controllata, efficace, efficiente e conforme alla normativa, attraverso l’informazione e la formazione di tutto il personale aziendale coinvolto; l’incentivazione della raccolta differenziata di alcune tipologie di rifiuti prodotti; la riduzione della quantità di rifiuti prodotti attraverso l’incremento del riutilizzo e del recupero; la diminuzione dei costi sostenuti per lo smaltimento e per il recupero stesso dei rifiuti; la riduzione dei rischi correlati alla pericolosità di alcune tipologie di rifiuti; la minimizzazione dell’impatto ambientale.
Allo stesso tempo nei regolamenti si evidenziano alcuni comportamenti da evitare, quali l’abbandono di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido in ambienti non idonei; la miscelazione di categorie diverse di rifiuti pericolosi; si prevede altresì lo smaltimento di rifiuti speciali (pericolosi e non pericolosi) nei cassonetti adibiti alla raccolta dei rifiuti assimilati agli urbani.
Una disciplina a parte è poi dettata per i rifiuti radioattivi, in quanto disciplinati dal Decreto Legislativo 26 maggio 2000, n. 241: “attuazione delle direttive Euratom in materia di radiazioni ionizzanti”. La norma di cui al comma 6 non prevede alcuna delimitazione soggettiva con riferimento alla realizzazione della condotta tipica.
Tuttavia una specifica posizione di garanzia è individuata in capo al direttore o responsabile sanitario della struttura pubblica o privata, i quali pertanto, anche indipendentemente da una condotta di tipo commissivo, rispondono a titolo di concorso omissivo nel reato altrui per l’ipotesi in cui sia ravvisabile quantomeno un comportamento negligente di omessa sorveglianza o una non corretta organizzazione della struttura, così come semplicemente il non tempestivo avvio delle procedure finalizzate alla gestione da parte di terzi del servizio di raccolta dei rifiuti.
Ne consegue che, accanto ad una responsabilità per condotta di tipo commissivo, riferibile anche a soggetti diversi dal direttore o responsabile sanitario, anche una responsabilità di tipo omissivo, specifica invece di questi ultimi, e segnatamente per omesso impedimento del reato commissivo altrui, discendente dalla violazione di un obbligo di sorveglianza e controllo gravante sui medesimi, quali titolari di una posizione di garanzia ex art. 40 c.p., ai sensi del quale “non evitare il prodursi di un evento lesivo che si aveva un obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”