Mentre si ragiona di massimi sistemi, di strategie di lungo e lunghissimo respiro, di riforme epocali e di assetti internazionali, nella nostra Italia si continua a bloccare ciò che funziona.
Si dice comunemente che “anno bisesto anno funesto”, e certamente così è stato il 2012, pace all’anima sua, in molti, moltissimi campi. Certamente l’anno appena passato ha visto il culmine della crisi internazionale, anche se in molti credono che il 2013 non sarà da meno, con tutte le conseguenze note in termini di crisi occupazionale, economica di stabilità e di crescita. In molti ci siamo svegliati il primo gennaio dell’anno nuovo con la sgradevole sensazione che le grandi promesse di benessere e di crescita dei decenni passati non sarebbero state mantenute neppure nella seconda decade del nuovo millennio, che i più pessimisti dicono sarà come quello passato.
I più ottimisti, e con questi il Presidente Mario Monti e il Ministro Corrado Passera, invece sostengono che la crisi è passata, che si vede la fine del tunnel e che i prossimi anni saranno di rinascita grazie alle azioni di risanamento poste in essere dall’esecutivo tecnico. Dobbiamo tuttavia considerare che siamo oramai in campagna elettorale e che quindi le sperticate dichiarazioni di ottimismo sono quantomeno sospette di avere un interessato secondo fine…
Analizzando poi cosa sia successo nel settore dell’energia l’ultimo anno ci si accorge che il 2012 ha fatto emergere in modo evidente e per taluni aspetti drammatico, le molte contraddizioni delle politiche energetiche nazionali degli ultimi anni, con la conseguente esplosione di contrapposizioni tra settori e tra singole società. Da un lato, infatti, il mondo elettrico dovrebbe essere da tempo oggetto di libero mercato, e gli operatori in concorrenza tra loro sulla base delle sole leggi di borsa, tuttavia non è così e il motivo è che quando tali regole toccano alcuni, si preferisce aggirarle (o direttamente cambiarle) che applicarle.
Questo è quanto sta succedendo per fronteggiare i due fenomeni principali e cioè la grande e crescente offerta e la sempre minore domanda. Se infatti negli ultimi anni la potenza elettrica disponibile, principalmente data dalle numerose nuovissime ed efficientissime centrali a ciclo combinato, è cresciuta significativamente e le Fonti Rinnovabili continuano la loro prevista strada per raggiungere gli obiettivi al 2020, dall’altra parte la contestuale prevista crescita dei consumi (si stimava un 2% all’anno) non solo non c’è stata ma vi è stata una riduzione dei consumi tale da farci ritornare a quelli di dieci anni fa.
Se a questo si aggiunge che la prospettiva di breve periodo (cinque anni) non lascia pensare a significative modificazione dell’attuale situazione, visto che alle FR si aggiungerà l’efficienza energetica che viene indicata dalla Strategia Energetica Nazionale come punto centrale dell’attività futura di sviluppo del settore, il quadro è abbastanza chiaro. In realtà la stranezza della questione è la seguente: a fronte di questa situazione di eccesso di offerta non vi è stato fino ad oggi un corrispondente ed adeguato abbassamento dei prezzi sul mercato e ciò a certificato quello che da più parti da anni si sostiene e cioè che la liberalizzazione del settore ancora deve fare molta strada.
In esito a quanto sta avvenendo il sistema ha attivato le sue difese e, come sempre accade, i più forti hanno potuto cercare di mettere in sicurezza loro stessi a scapito, o nella migliore delle ipotesi dimenticando, i settori più giovani e meno influenti nel mondo energetico, e cioè le Fonti Rinnovabili!
Abbiamo quindi visto susseguirsi una serie scientifica di azioni di contrasto alle Fonti Rinnovabili che dapprima si sono concentrate sul livello degli incentivi con riduzioni che hanno raggiunto il 50% in un anno, poi con una tassazione aggiuntiva dovuta dall’introduzione dell’ICI e quindi della Robin Tax, infine con azioni di regolazione che mirano da un lato a spiazzare la produzione elettrica di queste fonti provando a renderle programmabili e mettendo in discussione la priorità di dispacciamento (controsenso tecnico prima ancora che lessicale) e dall’altro lato vorrebbero rimborsare gli impianti fossili fermi con un riconoscimento economico solo per la loro capacità.
Insomma a fronte di una reale opportunità di competizione nel mercato, sono o stanno per essere messe in campo regole nuove che limitano significativamente i rischi per una parte del nostro mondo, lasciano l’altra completamente alla deriva. Esempio eclatante è quanto avvenuto con il nuovo meccanismo delle aste competitive introdotto quasi esclusivamente per l’eolico, infatti a fronte di circostanziate e ripetute lamentele dell’Associazione di categoria, il Ministero ha ritenuto di non modificare il livello della soglia, il livello dell’incentivo e tanto meno di semplificare le procedure. L’esito è stato fallimentare con un contingente (già di per sé dimezzato rispetto al trend degli ultimi cinque anni) neppure avvicinato e un conseguente blocco totale delle iniziative. In tutto questo la politica sembra essere assente e non curarsi del fatto che con questi recenti provvedimenti si è riusciti a bloccare uno dei pochissimi comparti industriali italiani che ancora funzionavano!!!
Concludendo mentre si ragiona di massimi sistemi, di strategie di lungo e lunghissimo respiro, di riforme epocali e di assetti internazionali, nella nostra Italia si continua a bloccare ciò che funziona, a aggiungere burocrazia a quella, troppa, già esistente e non si procede mai secondo percorsi lineari che mirino a fare qualcosa per il bene di tutti e non per l’interesse di qualcuno. Speriamo che il termine dell’anno funesto alle spalle ci faccia fare quel salto di qualità e di competenza che, insieme all’onestà e alla trasparenza dovrebbero essere gli ingredienti minimi di una classe dirigente che possa veramente risollevarci dall’attuale basso livello raggiunto