Finalmente il Piano nazionale energia clima (Pniec) dell’Italia e stato reso noto e consegnato a Bruxelles. A inizio febbraio il documento sarà presentato dai rappresentanti del nostro Governo in sede comunitaria e a giugno Bruxelles farà le sue osservazioni valutando se gli obiettivi al 2030 sono raggiungibili.
L’eolico vede un aumento dell’obiettivo in termini di potenza e di produzione elettrica in linea con quanto l’ANEV – Associazione Nazionale Energia del Vento – aveva stimato essere il potenziale per il nostro Paese, passando da 18,4 GW a 19,3 GW. Anche per il settore della mobilità elettrica sono state accolte le segnalazioni delle Associazioni di categoria ed è stata aumentata la quota prevista di veicoli elettrici circolanti. Complessivamente, tuttavia, i numeri e i traguardi nazionali non sono stati rivisti al rialzo così come invece da molte parti veniva richiesto. In termini complessivi si può ribadire il giudizio già a suo tempo formulato sulla bozza di Pniec: si tratta di un documento sufficiente ma poco ambizioso rispetto a quelli che avrebbero potuto essere target ben più importanti per l’Italia, in modo da rendere la transizione energetica un’opportunità vera per l’industria del settore, chiamata invece a fare il minimo sindacale.
L’elemento che tuttavia più desta preoccupazione è come i numeri individuati rispetto alle singole tecnologie vengano raggiunti e superati negli archi temporali previsti, anche alla luce del fatto che storicamente l’Italia non eccelle nel trasformare gli obiettivi in risultati concreti. Emblematico è il fatto che a fronte di un potenziale tecnico estremamente interessante di sviluppo delle tecnologie nuove e rinnovabili, in particolare dell’eolico e del fotovoltaico, le regioni e il Governo centrale fatichino a consentire la realizzazione di nuovi impianti e l’ammodernamento di quelli obsoleti. Esempio lampante è che la procedura di Via si conclude quasi sempre con un diniego che evidenzia una netta contrarietà a qualsiasi iniziativa Fer da parte delle soprintendenze. Enti che, invece di indicare criteri oggettivi di mitigazione degli impatti paesaggistici e archeologici, si limitano a negare a qualsiasi tipo di iniziativa i pareri necessari.
A tal riguardo sarebbe opportuno che una volta per tutte si decidesse in maniera chiara quale strada vogliamo prendere. Da un lato ci sono gli obiettivi assunti in sede Comunitaria che passano dallo sviluppo industriale delle tecnologie pulite (fonti rinnovabili di energia ed efficienza energetica), dall’altro esiste un cieco fronte del no a tutto che mira a mantenere immobile il Paese non sapendolo immaginare migliore. Noi crediamo che esista una terza via, quella della scelta coraggiosa e lungimirante di soluzioni che possano consentire all’Italia, in modo ordinato, di progredire e migliorarsi nei settori strategici che guidano la necessaria transizione energetica; transizione che, comunque, avremo nei prossimi anni.
Oggi si tratta di valutare in maniera consapevole le priorità e metterle in atto, condividendo con tutti i soggetti istituzionalmente tenuti a esprimersi dei numeri e degli obiettivi da far diventare intoccabili, in modo da guidare le politiche di sostegno necessarie a raggiungerli. Solo in questo modo potremmo arrivare per tempo, senza sforzi e costi eccessivi, a ottenere quei risultati minimi che ci potranno aiutare a centrare risultati concreti nella lotta ai mutamenti climatici.
Quindi servirebbe una regia unitaria, una sorta di coordinamento che definisca le priorità e indichi gli strumenti necessari a raggiungere gli obiettivi definiti, ovviamente sempre nel rispetto delle dovute tutele ambientali. Solo con un grande piano di rilancio basato sul Green New Deal l’Italia potrà coniugare la crescita economica con lo sviluppo industriale, l’occupazione e la tutela ambientale.
Fuori testo: servirebbe una regia unitaria che definisca le priorità e indichi gli strumenti necessari