L’Italia deve ripartire e per farlo ha bisogno di norme chiare, dell’applicazione delle regole e dell’accettazione delle decisioni degli Enti pubblici preposti. Il nostro è un Paese nel quale da molti anni non si riesce più a realizzare le opere infrastrutturali necessarie a far progredire il territorio in modo da far avanzare l’economia, l’industria e il lavoro come gli altri Stati europei stanno facendo.
Questo ritardo si accumula e l’approccio del no acritico a ogni iniziativa si sta trasformando in un blocco culturale inaccettabile e pericolosissimo che sta condannando l’Italia a perdere posizioni nella classifica della produttività, del livello di crescita industriale e dell’occupazione.
Partendo da un periodo operosissimo del primo dopoguerra, anni del miracolo italiano nei quali si fecero le infrastrutture necessarie in maniera organica e in tempi rapidi, siamo transitati per una fase di rilassatezza nel quale si facevano con una certa approssimazione le sole opere che interessavano la politica, arrivando poi a un’era, questa, nella quale non si fa più nulla.
Oggi ci troviamo finalmente dinanzi a un’opportunità unica e irripetibile: dobbiamo affrontare una rivoluzione industriale che porterà alla transizione energetica del nostro Paese, dell’Europa e del mondo intero. Tale necessità scaturisce dalla grave situazione climatica e ambientale che viviamo e che sta portando a un livello di riscaldamento globale e a soglie di inquinamento tali da essere incompatibili con la vita umana sul pianeta! A fronte di questa emergenza si sono costituiti organismi internazionali di portata scientifica altissima (Ippc) che hanno studiato per anni la questione definendo quali debbano essere le azioni da intraprendere e in quali tempi (decarbonizzazione dell’economia mondiale entro il secolo). Tali azioni sono state a loro volta declinate nei vari comparti e la priorità è stata data ai settori energetici, con l’uscita dalle fonti fossili quanto prima possibile e il ricorso alle fonti rinnovabili di energia più efficienti: eolico e solare. Tale percorso è definito e ovviamente deve seguire le normali e giuste prescrizioni tecnico/amministrative prescritte dalle normative vigenti.
Da questo punto di vista l’Italia è all’avanguardia avendo da sempre una normativa ambientale estremamente completa, a tutela del patrimonio paesaggistico e culturale del nostro splendido Paese. In più, con il recepimento delle normative comunitarie di valutazione di impatto ambientale, gli aspetti di tutela e salvaguardia sono stati ulteriormente accresciuti. A riprova di quanto complesse e articolate siano le procedure di autorizzazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili in Italia, possiamo prendere in considerazione la durata di un iter autorizzativo, che nel nostro Paese si aggira mediamente attorno ai cinque anni, contro i tre dell’Europa, i due di Asia e Medio Oriente e uno delle Americhe (in quella del Sud anche meno). Questa situazione comporta alcune gravi criticità che si ripercuotono in maniera pressoché diretta sullo sviluppo delle nuove energie. Oltre a rallentare significativamente le installazioni, e quindi mettere a rischio il raggiungimento degli obiettivi, la durata eccessiva degli iter e la loro rigidità spesso rende obsolete le macchine utilizzate per la realizzazione degli impianti. Se il progetto sottoposto a iter autorizzativo prevede infatti l’installazione dell’ultimo modello di aerogeneratore, nei cinque anni successivi tale gioiello della tecnologia diventerà un vecchio arnese ancora utile ma certo non all’avanguardia della tecnica. È come comprare l’ultimo modello della Mercedes e riceverlo 60 mesi dopo…
A questo contesto, già di per sé assai complicato, che certo non strizza l’occhio alle nuove tecnologie pulite per la produzione di energia, va ad aggiungersi la circostanza che troppo spesso si vede nascere una strana opposizione che, nascondendosi dietro lo scudo del rispetto delle norme e delle leggi, si lamenta proprio perché queste vengono rispettate! Ebbene sì, sembra incredibile ma accade che in taluni territori alcuni portatori di interessi si scaglino contro l’eolico poiché “brutto” e si oppongano alle realizzazioni di nuovi impianti con motivazioni false, pretestuose o irrilevanti, per poi scagliarsi contro le autorità preposte al rilascio di pareri e nulla-osta necessari al rilascio dell’Autorizzazione unica (giova ricordare che per autorizzare un impianto eolico ne servono fino a una quarantina…).
Talvolta capita addirittura che chi vorrebbe che tali iniziative non si facessero sono gli stessi che hanno taciuto quando nei medesimi territori si realizzavano opere ben più impattanti sull’ambiente e sulla salute. Un esempio di questo può darlo in maniera chiara quello che sta accadendo in una Regione della quale non diremo altro che è nota per le recenti diatribe sullo sfruttamento delle risorse fossili presenti e dei danni ambientali irreversibili che l’estrazione, la lavorazione e il trasporto delle stesse arreca alla popolazione e al territorio. Un’area dove la prova certificata dei danni ambientali provocati è sancita dall’accordo di compensazione dei danni che le aziende interessate all0 sfruttamento di tali fonti fossili dovranno riconoscere alle istituzioni locali.
L’eolico, viceversa, è proprio una delle fonti che deve consentire secondo i trattati internazionali, comunitari e nazionali il superamento dell’economia fossile grazie allo sfruttamento naturale della forza del vento, delineando tra l’altro un limite temporale dell’impatto che gli stessi parchi eolici hanno sul paesaggio. Negli scorsi anni in questa Regione si sono realizzati molti impianti, principalmente di piccola taglia (il cosiddetto minieolico) che ha proliferato per mancanza di regole chiare che l’ANEV, già nel 2016, aveva suggerito di introdurre senza che il Governo regionale la ascoltasse. Oggi invece ci troviamo di fronte a una necessità, cioè quella di consentire una crescita rapida e ordinata delle nuove installazioni. La difficoltà nel far sì che tale sviluppo avvenga sta tutta nel circolo vizioso che si viene a creare: invece di stimolare le fonti pulite si cerca di mettere per loro dei vincoli ulteriori e chissà perché più gravosi anche rispetto alle fossili.
Non solo. Anche quando questi ulteriori vincoli vengono imposti ci si lamenta del fatto che sarebbe stato necessario valutare anche altri fattori che viceversa le norme ambientali non contemplano!
Nello specifico, il Sindaco di un paese vuole mobilitare la Regione al Tar contro il Ministero dell’Ambiente che ha valutato positivamente un progetto e reso i pareri ambientali e paesaggistici (e lo stesso Sindaco dichiara che tale procedura è stata seguita). Si aggiunga che proprio nel medesimo sito dove sorge l’iniziativa era stato già dalla Regione stessa autorizzato con una Valutazione di Impatto Ambientale positiva (!) un parco eolico che poi non si era realizzato solo perché il proponente aveva cessato l’attività eolica.
Orbene è chiaro a chiunque abbia a cuore il bene e l’avvenire del nostro Paese che, se vogliamo avere una speranza per il futuro dell’Italia, dobbiamo iniziare seriamente a rispettare le regole, ad accettare le decisioni dei pubblici decisori evitando di perseverare in atteggiamenti di piccolo interesse personale in contrasto con i grandi positivi interessi nazionali e sovranazionali. Correttamente la Regione sollecitata sul tema fa sapere che il Ministero ha espresso parere favorevole dopo aver recepito le osservazioni e le prescrizioni che ha ritenuto facessero superare le obiezioni sollevate.
Solo con una visione alta si può sperare di dare un futuro all’industria italiana, si può rilanciare l’economia e l’occupazione anche in territori abbandonati e senza dover ricorrere all’elemosina di chi devasta davvero il territorio e l’ambiente pulendosi la coscienza con elargizioni munifiche. Pensiamo al bene comune e battiamoci per dare informazione corretta alle popolazioni, poi decidiamo secondo le leggi e consentiamo il corretto svolgimento delle attività imprenditoriali, altrimenti, purtroppo, il nostro Paese non ha futuro.