Gli Usa, con il nuovo Presidente Biden, hanno formalizzato il loro rientro negli accordi di Parigi. Questo cambio di politica è estremamente significativo per le sorti della lotta ai mutamenti climatici. Gli eventi estremi che siamo costretti ad affrontare sempre più spesso sono sotto gli occhi di tutti e la sensibilità crescente per questi temi ha finalmente condizionato le scelte degli elettori di un grande Paese come gli Stati Uniti.
Anche a livello europeo si è modificato molto l’approccio sugli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e al 2050, portando a innalzare il target dal 50 al 55% rispetto ai livelli del 1990. Questo incremento comporterà ulteriori azioni anche per il nostro Paese che dovrà ridefinire il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) coerentemente con tali obiettivi.
In questo contesto si aggiunga che il precipitare della situazione politica italiana ha portato a una caduta del Governo che potrebbe influire negativamente sulle tempistiche di approvazione del nuovo Pniec. Tale evenienza comporterebbe anche un ritardo nella possibilità di dare continuità ai sistemi di sostegno del settore, con possibile allungamento dei tempi necessari a raggiungere i traguardi prefissati.
Il “Next Generation EU”, inoltre, impiegherà enormi risorse economiche da concedere agli Stati membri sulla base di specifici piani che indichino interventi e obiettivi in modo puntuale, secondo dei principi determinati. Per quanto riguarda l’Italia dobbiamo notare come il Governo dimissionario sia riuscito, contro ogni previsione dei più scettici, a farci riconoscere oltre 200 miliardi di euro.
I malpensanti ritengono che tale generosità sia figlia del fatto che in pochi in Europa pensano che il nostro Paese riuscirà a spenderli, tuttavia è un fatto che questa sia una opportunità unica da sfruttare al meglio. In effetti, affinché tali risorse siano effettivamente destinate all’Italia, dovremo predisporre un Piano nazionale di rilancio e resilienza (Pnrr) dettagliato con ogni elemento utile a valutarne l’adeguatezza e la conformità agli elementi definiti in sede comunitaria. In particolare, il Piano nazionale dovrà dettagliare i progetti, le misure e le riforme previste nelle aree di intervento riconducibili a sei pilastri: 1) transizione verde; 2) trasformazione digitale; 3) crescita sostenibile e ricerca; 4) coesione sociale e territoriale; 5) salute; 6) politiche per la prossima generazione, inclusa l’istruzione.
Purtroppo, la prima bozza inviata a Bruxelles dal nostro Governo non sembrava rispondere con adeguata puntualità ai molti requisiti richiesti e questo metterebbe a serio rischio l’intero impianto di sostegno. Infatti, almeno nel testo reso pubblico, non sono indicate le riforme previste o l’esatta quantificazione degli investimenti necessari per il contrasto ai mutamenti climatici; sembra che non ci si avvicini neppure al 37%, cioè la quota indicata dall’Europa ed equivalente ad oltre 75 miliardi.
Infine, non vi è alcuna analisi degli effetti della riduzione dei gas serra rispetto alle riforme e agli investimenti previsti nel Piano. Le misure indicate nella proposta di Pnrr, tra l’altro, sembrano insufficienti a raggiungere gli obiettivi del settore elettrico. In particolare, le Associazioni di categoria hanno già pubblicamente affermato, nell’ambito delle audizioni formali avute in Parlamento, che gli obiettivi del Pniec, ancora da adeguare, difficilmente saranno raggiunti e contestano come sia stato destinato gran parte dello sforzo a pochi grandi player e ad alcuni progetti non direttamente afferenti al comparto delle rinnovabili.
In sintesi, sembra che l’Esecutivo uscente desse per scontato che tali settori potessero procedere senza ulteriori meccanismi di supporto e sostegno, approccio che invece sembra limitare ogni possibilità di “ripresa e resilienza” che dovrebbe essere alla base del Piano.
Miope sembra infine la previsione che dei “soli” 67 miliardi di Next Generation EU destinati dalla proposta di Piano italiano alla transizione verde, quasi la metà siano impiegati per sostituire finanziamenti stanziati per progetti già “in essere”. Di fatto, quindi, non vanno a realizzare nuove attività ma solo a coprire costi di azioni già intraprese con evidente grave danno per il possibile cambio di passo richiesto.
Il Piano, infatti, non indica i criteri seguiti per tale scelta e non spiega come mai una quota così alta – nettamente la più alta fra tutte le 6 missioni – sia stata destinata a progetti già “in essere” proprio per la transizione verde, riducendo quindi notevolmente le disponibilità per nuovi progetti in questa missione.
Tale approccio “comodo” adottato nella definizione del Pnrr italiano potrebbe comportare perplessità in Europa, non essendo sulla stessa lunghezza d’onda dei principi del Next Generation EU, tesi a potenziare la crescita di ogni Stato membro, anche in termini di posti di lavoro e sviluppo economico, in un’ottica di transizione green e digitale.
Queste tematiche vedono centrali le rinnovabili e gli operatori privati che da tempo investono su di esse, nonché l’elettrificazione dei consumi, secondo le traiettorie di crescita già definite nel Pniec; aspetti completamente dimenticati.
Oggi, tuttavia, ci affacciamo su uno scenario nuovo, ancora non chiaro, ma che vedrà la gestione del Pnrr e del Pniec in mano ad un nuovo Governo e questo potrebbe cambiare lo scenario. Non tanto in termini di ambizione degli obiettivi, questa non è mai mancata anche in passato, ma in termini di strumenti utili a realizzarli. Infatti, il nostro Paese ha già, anche nel vecchio Pniec, obiettivi settoriali per le rinnovabili e per l’efficienza energetica assai avanzati.
Quello che da molti anni l’ANEV – Associazione delle rinnovabili eoliche – lamenta è la mancata predisposizione di quel quadro normativo e regolatorio necessario agli imprenditori del settore per autorizzare, costruire ed esercire tali impianti.
La decarbonizzazione è necessaria e tale necessità deriva dalla consapevolezza che l’ambiente è un bene primario da difendere. È inoltre assai difficile comprendere come non si voglia puntare fortemente su tecnologie come l’eolico che, oltra a difendere l’ambiente e a creare occupazione locale, hanno sviluppato nel nostro Paese una filiera industriale solida e capace di esportare tecnologia all’etero.
Oggi le nuove iniziative sono bloccate quasi sempre dalle Soprintendenze che esprimono pareri negativi per gli impatti paesaggistici sui beni archeologici, mentre altri 30 Enti esprimono pareri positivi. Tuttavia, le circa 90 mila morti ogni anno per inquinamento atmosferico del nostro Paese (dati Oms) sono inaccettabili: un Paese serio deve fare di questo una priorità. Il paesaggio, il territorio e i beni archeologici sono da tutelare in ogni modo visto che l’Italia è il Paese più bello del mondo ma la salute deve venire prima, per questo oggi si deve sciogliere questo conflitto.
La soluzione sembra essere necessaria e urgente: definire una cabina di regia a livello governativo che risolva tale conflitto avendo chiaro quale sia il bene prioritario da difendere e contemperando le diverse necessità.
Realizzare impianti eolici e fotovoltaici è possibile anche nel rispetto del territorio e del paesaggio, come dimostrano i Protocolli di Intesa sottoscritti dall’ANEV con Legambiente, WWF e Greenpeace. Inoltre, l’impatto visivo è un impatto temporaneo, avendo gli impianti l’obbligo a fine vita di essere rimossi ripristinando il paesaggio originario, mentre l’impatto ambientale delle emissioni nocive resta per sempre.
In conclusione, abbiamo un’occasione unica per spingere il nostro Paese verso un rilancio sostenibile che veda nella transizione energetica il pilastro industriale del futuro sostenibile. Questo percorso è l’unico che contemporaneamente garantisce tutela dell’ambiente, sviluppo occupazionale e innovazione tecnologica. Oggi, con risorse disponibili offerte dall’Europa, non possiamo lasciarcelo sfuggire.