L’ennesima delusione si sostanzia con la presa d’atto del fallimento del nostro Paese rispetto al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030.
I risultati delle aste GSE, infatti, nonostante il contingente messo a bando fosse di oltre tre Giga Watt di potenza disponibile, si chiudono con un risultato misero che rispecchia i deludenti numeri delle nuove autorizzazioni per gli impianti eolici e fotovoltaici rilasciati negli ultimi anni.
Ormai sono passati oltre dieci anni da quando l’Italia si è data dei target settoriali e ha cercato in ogni modo, almeno a parole, di semplificare i processi normativi e autorizzativi al fine di raggiungere il traguardo.
Il fatto che dopo dieci anni viaggiamo a scartamento ridotto e riusciamo a istallare solo un terzo della potenza necessaria a raggiungere tali obiettivi, dimostra l’assoluta incapacità del sistema politico del nostro Paese; sistema che ha visto il susseguirsi di ministri di ogni colore politico nel corso degli ultimi anni con il medesimo scarso risultato.
Di costoro è la responsabilità del fallimento delle politiche di sviluppo del settore energetico e dell’attuale crisi ambientale ed economica; almeno per la quota, rilevante, legata alla produzione dell’energia.
Non è dunque un problema di sviluppo industriale a frenare il comparto ma di capacità e visione politica del nostro Paese rispetto a obiettivi che vengono evidentemente derubricati come poco importanti rispetto al mantenimento dello status quo per le aziende del settore fossile.
Inoltre, fa ancora più male notare come la narrativa che spesso si trova a dover leggere sostiene come, tecnicamente, non sia possibile realizzare quegli obiettivi di produzione elettrica da rinnovabili necessarie a raggiungere le percentuali crescenti di decarbonizzazione nazionale, quando invece i problemi sono ben altri. Problemi tecnici e ostacoli che evidentemente esistono soltanto nella testa di chi li rappresenta visto che moltissimi Stati europei hanno già dimostrato nei fatti come si possano raggiungere in maniera efficiente tassi di penetrazione delle rinnovabili ben superiori al 75% (in Italia siamo ancora al 40%).
La cosa che dispiace e che in qualche modo crea un certo disappunto è il fatto che il nostro Governo continui a dichiarare obiettivi sempre più importanti nello sviluppo delle rinnovabili e a dichiarare come la transizione ecologica sia una priorità; se invece andiamo ad analizzare scelte politiche e provvedimenti assunti ci rendiamo conto che in Italia le uniche azioni che sono state prese con decisione negli ultimi mesi sono tutte a favore della semplificazione dei tempi e dei processi per quanto riguarda le aziende che operano nel settore del gas e delle fonti fossili, mentre per le rinnovabili sono arrivate due bastonate pesanti che limitano i ritorni economici e tassano oltremodo quelle che sono i guadagni di questo anno.
Il primo colpo, infatti, è stato il taglio delle remunerazioni di borsa con l’introduzione di un tetto al prezzo dell’energia per chi vende elettricità nella borsa libera (quindi non per l’energia incentivata ma per chi ha scelto di andare al mercato) che comporta l’obbligo per questi produttori eolici e solari di restituire oltre 2/3 del prezzo dell’energia che si è formata nel mercato.
Il secondo colpo ricevuto e quello introdotto con il provvedimento che tassa gli extra profitti delle aziende energetiche e che ancora una volta va a colpire direttamente le aziende rinnovabili.
Questi due interventi, estremamente pesanti e con robusti dubbi sulla loro legittimità, non considerano tra l’altro che nello scorso anno il prezzo dell’energia sceso sotto i 30 €/MWh, cosa che ha comportato per i produttori da rinnovabili delle perdite importanti che nessuno ha ritenuto di compensare, mentre quest’anno si vanno a tassare quei livelli di maggiore fatturato raggiunti grazie i prezzi dell’energia più alti (tra l’altro dovuto al caro Gas !).
Le politiche ambientali degli ultimi anni hanno dimostrato come spesso gli interessi economici di gruppi industriali che si rivolgono alle fonti fossili siano predominanti e riescano a condizionare in maniera profonda la politica nazionale. Questo atteggiamento e assolutamente da combattere e deve essere il nostro obiettivo dei prossimi anni: quello di portare a responsabilità politiche e istituzionali persone che abbiano la capacità di comprendere come lo sviluppo del nostro Paese, la salvaguardia dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici siano prevalenti rispetto ad altri importanti temi come la salvaguardia del paesaggio, lo sviluppo industriale delle tecnologie fossili e il mantenimento dei livelli occupazionali.
Bisogna tuttavia chiarire una cosa in maniera assolutamente trasparente: lo sviluppo delle tecnologie rinnovabili, dell’efficienza energetica e di ciò che riguarda la transizione ecologica non solo comporterà un aumento dei livelli occupazionali nel lungo periodo, grazie anche alla ripartenza di quelli che sono gli sviluppi tecnologici dell’innovazione applicata e dei materiali, ma comporterà anche la possibilità in altri settori, come quello turistico, di ulteriori sviluppi con ritorni economici e occupazionali per tutti i territori coinvolti.
Non si tratta, quindi, di fare una guerra tra settori e tanto meno tra transizione ecologica e mantenimento dell’industria fossile, ma si tratta di gestire una transizione che porterà assolutamente più benefìci di quelli che verranno a mancare. E per questo che bisogna spingere con decisione verso una rappresentanza politica illuminata che abbia conoscenza e competenza nei settori di interesse.
Basti pensare alle polemiche che sta generando la decisione europea di uscita nel settore automotive dai motori a combustione interna per capire quanta confusione ci sia e quanta malafede traini le scelte prese dai politici italiani.
Il passaggio alla mobilità elettrica comporterà certamente una riduzione dei livelli occupazionali nei settori di produzione di motori termici ma ne creerà altrettanti se non di più in tutti quegli altri comparti legati allo sviluppo dei settori elettrici per la mobilità.
I politici non dovrebbero difendere le aziende che attualmente hanno dei livelli occupazionali alti dovuti alle vecchie tecnologie fossili. Dovrebbero avere la capacità di vedere dove ci saranno livelli occupazionali maggiori nel futuro e dove serviranno nuove professionalità, in modo da organizzare la transizione occupazionale anche grazie a una formazione specifica che porti ad avere competenze nei settori per i quali ci sarà richiesta.
Insomma, basta guardare al proprio ombelico, ci serve una classe dirigente del Paese in grado di avere una visione lucida su come costruire il nostro futuro.