Oramai è chiaro a tutti che il clima è in grande trasformazione e questo comporterà gravi conseguenze per l’essere umano. A fronte degli eventi estremi sempre più frequenti, infatti, molti iniziano a interrogarsi su quali azioni si possano mettere in campo per evitare le conseguenze catastrofiche che sono sotto gli occhi di ognuno.
L’approccio a questa tematica differisce molto a seconda di alcuni elementi come la cultura, la conoscenza e la capacità di analisi. Alcuni comprendendo la gravità e la profondità della questione e pensano che l’unico approccio possibile sia quello di applicare ogni soluzione tecnologicamente disponibile.
Altri, invece, sottovalutando e mettendo in discussione i dati e le evidenze scientifiche, immaginano solo di dover contrastare gli esiti di questi mutamenti climatici con politiche di adattamento. In sostanza, mentre nei primi anni del nuovo Millennio la discussione dei negazionisti verteva sul fatto che fosse in corso un surriscaldamento globale, ora gli stessi si sono concentrati sul fatto che non sia necessario combattere la causa ma solo gli effetti, poiché tale surriscaldamento è ciclico e non dipende da cause antropiche.
La realtà dei fatti, pressoché universalmente condivisa dalla comunità scientifica, ci dice invece che dobbiamo con urgenza combattere le cause in modo da riportare le temperature del pianeta a livelli accettabili e contestualmente attivare le politiche di adattamento necessarie a superare questi anni nei quali le conseguenze del surriscaldamento saranno significative.
In questo quadro c’è sempre da capire quanta parte nelle decisioni dei negazionisti siano ascrivibili a disinformazione, quanta a malafede e quanta a interessi diversi. Infatti, viene difficile comprendere perché, quando si tratta di fare una scelta di campo netta, gli interessi economici siano spesso prevalenti su quelli generali.
Il bene comune troppo frequentemente viene barattato con interesse personale e questo ha portato a una sempre maggiore disaffezione per la politica. D’altra parte, è anche vero che non è possibile rappresentare tutto e difendere tutto essendo efficaci, mentre la politica spesso ci prova per mero interesse elettorale. Basti pensare che se oggi ci troviamo nella situazione paradossale di avere degli obiettivi di decarbonizzazione estremamente stringenti ma nella quasi pressoché totale assenza di strumenti per raggiungerli, molto dipende proprio dalla dicotomia di assumere, da parte dei nostri governanti, posizioni in Europa condivisibili e che mirano ad un sistema produttivo attento all’ambiente, senza realizzare tali i presupposti in Italia perseguendo quella trasformazione industriale necessaria.
Un esempio di questo voler dare seguito a tutto e tutti è dato dalla rappresentanza associativa dell’industria nazionale dove il sistema confindustriale, fortissimo e ben strutturato, alla fine si trova, proprio a causa dell’ampiezza del perimetro di rappresentanza, a dover assumere posizioni che favoriscono alcuni settori a discapito di altri.
Più nello specifico, se una rappresentanza industriale riunisce le aziende di settori concorrenti allora è evidente che finirà per appoggiare posizioni a favore di uno e contro l’altro.
Questo, di per sé, potrebbe anche essere un valore ma solo se si agisse nell’interesse generale e non, come invece avviene, nell’interesse del comparto industriale più forte tra quelli rappresentati.
In conclusione, sembra di poter dire che sia finalmente arrivato il momento della scelta di campo che deve portare ad uscire dall’equivoco mortifero del quieto vivere. Per crescere bisogna confrontarsi e portare avanti le proprie idee, sulla base di analisi approfondite e obiettive, solo così si potranno individuare le scelte giuste e portarle avanti nella certezza strada intrapresa.