Il Governo italiano si trova in una fase delicata dell’agenda politica relativa all’energia.
Da un lato, infatti, permane la necessità di dare risposte concrete alle recenti crisi geopolitiche che hanno determinato seri rischi per la nostra sicurezza degli approvvigionamenti. Dall’altro, invece, c’è la necessità di attuare quanto previsto nel programma elettorale in tema di riduzione dei costi. Tutto ciò va inoltre calato all’interno della strategia di de-carbonizzazione del sistema produttivo energetico da attuare entro il 2050.
In questo quadro il primo anno di Governo è trascorso tra velocissimi processi autorizzativi per il famoso impianto di rigassificazione a Piombino (il cui iter è durato solo sei mesi), tentativi di semplificazione non ancora giunti a compimento e predisposizione di un quadro normativo per lo sviluppo delle rinnovabili tradizionali e innovative ancora da ultimare.
Da aggiungere a questa analisi c’è l’importante aumento dei numeri dei commissari nelle commissioni di valutazione di impatto ambientale e la creazione della nuova commissione PNRR, con un significativo innalzamento della capacità di trattazione delle richieste di VIA; atti che finalmente stanno iniziando ad essere rilasciati o negati in tempi più vicini a quelli previsti dalle normative vigenti.
In questo contesto si determina la possibilità di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione definiti nel Piano nazionale integrato energia-clima al 2030 che, ricordiamolo, ci chiede di arrivare a una percentuale pari ai 2/3 della produzione elettrica nazionale generata da fonti rinnovabili. Ciò significa ottenere nei prossimi sette anni un’installato FER da 10 GW l’anno, come minimo, mentre oggi siamo intorno alla metà.
È interessante notare come, nell’ambito di questo faticoso e lungo processo di adattamento della burocrazia italiana alle tempistiche europee, la recente Direttiva RED III preveda per tutta la procedura autorizzativa, compresa la VIA, una tempistica massima nelle aree idonee pari a 12 mesi e, in tutte le altre aree, pari a 24 mesi, mentre oggi un’autorizzazione per un impianto eolico o fotovoltaico si ottiene in non meno di quattro o cinque anni.
A proposito della definizione delle aree idonee, l’Italia rischia di fare un autogol clamoroso poiché la bozza di decreto di individuazione di queste zone, nelle quali la procedura dovrebbe essere semplificata poiché gli impianti verrebbero installati in territori privi di vincoli, reca dei criteri di individuazione delle stesse che, se applicati, non consentirebbero la realizzazione neanche di numeri marginalissimi rispetto agli obiettivi fissati.
Infatti, l’indicazione incomprensibile di una fascia di rispetto di 3 km da aggiungere alle zone vincolate rende praticamente impossibile l’installazione di impianti eolici in modalità semplificata. Ciò è dovuto al fatto che questa fonte richiede tecnicamente un’estensione territoriale importante, seppur con i singoli aerogeneratori installati a distanze significative l’uno dall’altro.
Oggi il provvedimento è in Conferenza unificata per un parere delle Regioni che tarda ad arrivare. Il problema è una mancanza di condivisione sull’impostazione del testo che obbliga le Regioni stesse a raggiungere degli obiettivi minimi.
Inoltre, pare si voglia introdurre un fondo per premiare le Regioni virtuose nel raggiungimento degli obiettivi con dei sostegni economici. Il punto è che tale fondo sarebbe alimentato ancora una volta con i soldi delle aziende proponenti le iniziative che, per un meccanismo assurdo, si troverebbero a dover pagare, oltre al già previsto 3%, anche un’ulteriore gabella da girare alle Regioni affinché i propri funzionari facciano semplicemente il lavoro per il quale sono già pagati!
Questa possibilità fa riflettere ancora di più se si pensa che il meccanismo di funzionamento delle commissioni VIA ministeriali prevede che la copertura dei costi venga fatta tramite il pagamento degli oneri necessari con un meccanismo che dovrebbe definire anno dopo anno la corretta quota da pagare in capo agli operatori, basata sul costo effettivamente sostenuto per il rilascio delle VIA.
Invece, a fronte di percentuali ingentissime versate dagli operatori e a costi sostenuti assai inferiori, non solo non si sa bene come questi oneri siano stati spesi (manca una rendicontazione pubblica che aiuterebbe la trasparenza del processo e la comprensione dell’effettiva necessità di versare tali somme) ma sarebbe opportuno verificare che anche le strutture siano effettivamente state messe in grado di svolgere il loro lavoro a pieno, con strumenti adeguati a velocizzare i tempi di conclusione delle procedure.
Sarebbe infatti una beffa sì vi fossero delle risorse ulteriori presso la Tesoreria non utilizzate per il funzionamento delle commissioni e poi vi fossero delle carenze nelle dotazioni nel personale amministrativo o dei commissari stessi, a fronte della necessità impellente di rendere pienamente efficiente questo importante organo necessario, se non indispensabile, al raggiungimento degli obiettivi della transizione energetica del nostro Paese.
Insomma, il rischio è di avere dei sistemi di funzionamento degli organi preposti al rilascio delle autorizzazioni ambientali e amministrative per gli impianti rinnovabili estremamente difformi tra loro e che non seguono un criterio generale efficiente ed efficace che preveda il pagamento adeguato per i funzionari al loro lavoro ed, eventualmente, un premio per chi dovesse fare meglio dei tempi previsti dalla legge.
Crediamo che avrebbe senso legare eventuali e ulteriori premi, che si aggiungano ai giusti emolumenti riconosciuti per l’espletamento delle funzioni preposte, a quegli enti o a quei funzionari che siano in grado di raggiungere risultati migliori rispetto alla media e in tempi inferiori a quelli previsti dalla legge.
Insomma, solo un sistema meritocratico che possa garantire il rispetto delle tempistiche di legge e che vada a premiare chi riesca ad avere performance migliori potrebbe consentire all’Italia di dare quell’accelerata necessaria a raggiungere gli obiettivi del settore.