Tre milioni di posti di lavoro “green” al 2012 rappresentano una quota significativa, soprattutto nello scenario economico attuale in Italia. Il dato emerge dal Rapporto “Green Italy – nutrire il futuro” 2013 di Unioncamere e Fondazione Symbola presentato a novembre a Milano.
Nel 2013 i contesti di crisi che hanno portato al fallimento aziendale sono aumentati del 6% rispetto al 2012, le imprese private hanno perso 256 mila dipendenti e il numero di giovani disoccupati (15 – 25 anni) ha raggiunto quota 654 mila. Questa la drammatica realtà dell’Italia del 2013. Dal rapporto emerge però la possibilità di seguire un modello di sviluppo economico e sociale “sostenibile”, il cui paradigma produttivo fa leva sulla creatività e sui saperi e premia chi investe su conoscenze, tecnologie, risorse umane e innovazione. Si tratta di modelli che puntano sui “green jobs”, che rappresentano l’attuale 13,3% degli occupati nelle imprese e nelle Pubbliche Amministrazioni in Italia. Secondo l’Eurobarometro 2012 poi, il 51% delle PMI italiane impiegherà almeno un green job nel 2014 (la media UE è del 34%).
Nel 2013 le professioni verdi richieste nell’industria e nei servizi sono state pari a 133.000 unità in tutta Italia, di cui 47.000 non stagionali e specializzati nel green in senso stretto, ovvero chimici ambientali, geometri ambientali, tecnici del risparmio energetico, esperti di acquisti verdi, ingegneri ambientali, bioarchitetti, tecnici di impianti di illuminazione sostenibile, installatori e montatori di macchine e impianti industriali a basso impatto, tecnici delle energie rinnovabili, informatici ambientali, carpentieri sostenibili, installatori di impianti di condizionamento green, tecnici del marketing ambientale.
Ma in che modo i green jobs possono combattere la crisi e creare un nuovo paradigma produttivo?
Innanzitutto i green jobs presentano maggiore stabilità contrattuale. Infatti tra il 2010 e il 2013 la quota di assunzioni a tempo indeterminato o con contratto di apprendistato tra i green jobs in senso stretto è aumentata (da 62,1 a 63%). Per le figure non green è diminuita (dal 53,6 al 48,1%).
Portano poi più innovazione e sviluppo. I green jobs in senso stretto rappresentano il 61% delle assunzioni destinate all’area R&S interna alle imprese. Il 14% delle assunzioni di green jobs fa riferimento a figure prima non presenti in azienda (12% per le non green).
I green jobs fanno bene al Paese perché gli addetti green sono impiegati prevalentemente nel made in Italy. Tra il 2010 e il 2013 è in aumento la quota di assunzioni non stagionali di green jobs in senso stretto nella meccanica (dal 25,7 al 28,2%), alimentare (dal 6,7 al 7,6%), legno-mobile (dall’8,9 al 13,6%) e cartario (da 7 a 10,9%). Inoltre per i green jobs sono richiesti più laureati (41,7 contro 12% per le figure non green), più esperienza lavorativa (69 contro 53%), più competenze trasversali (capacità di lavorare in team, di problem solving, creatività e innovazione, ecc.)
Emerge poi dallo studio che esiste un disallineamento tra offerta e domanda di lavori verdi. I green jobs in senso stretto sono tra le figure più difficili da reperire: 19%, contro l’11% delle figure non green. Nel tempo, sono molto diminuite le difficoltà legate alla preparazione dei candidati (dal 21% del 2010 all’8% del 2013), mentre sono oggi più diffusi i problemi nel trovare queste «nuove professioni» con il titolo di studio adatto (11%). È probabilmente cambiato qualcosa nell’offerta formativa. È aumentato il numero di corsi di formazione di base e specialistici su tematiche legate alla green economy (1.911 corsi di formazione in campo ambientale) e sono aumentati i corsi universitari che prevedono con facilità un impiego green. Infatti, a 3 anni dalla laurea breve in campo ambientale, il 53% lavora (la metà come green jobs) e dopo la specialistica o il master l’81% lavora (58% come green jobs). Infine, i green jobs sono le figure per le quali i giovani sono più richiesti dalle imprese (35%) e quasi 1 giovane neo-assunto su 7 svolge un green job (13,5%).
Ma il lavoro può essere il catalizzatore dell’innovazione green? Tra le imprese che assumono green jobs, 328 mila hanno realizzato tra il 2008 e il 2013 investimenti in prodotti e tecnologie green e hanno dimostrato più efficienza, mettendo al primo posto il risparmio nell’utilizzo di energia e materia (78%).
La green economy è più diffusa tra le piccole imprese: 289 mila piccole imprese (fino a 50 dipendenti) guidano le divisioni della green economy e si registra un’ elevata propensione tra le medie e le grandi imprese: 47% e 65% del totale. Il settore dimostra inoltre di essere più resiliente rispetto al mercato: gli investimenti green si collocano in uno scenario di contrazione del valore nominale degli investimenti fissi (oltre -15% tra il 2008 e il 2012).
Il settore green dimostra di essere rivolto ai giovani, infatti 36 assunzioni non stagionali su 100 programmate nel 2013 dalle imprese “green” sono rivolte a giovani under 30 (contro i 30 su 100 per le imprese non green). Anche il rapporto tra imprese verdi e giovani imprenditori è alto: il 30% dei neo-imprenditori under 35 nati nei primi sei mesi del 2013 (13.500 su 44.500) investe nel green, di più rispetto ai meno giovani (27%). Rispetto al I semestre 2012, l’incidenza neo-imprenditori under 35 che investono nel green è raddoppiata (dal 15 al 30%) e il 22% delle start-up giovanili green prevede un aumento del personale nei prossimi 12 mesi; solo il 14% per le imprese non green.
Il lavoro green genera ricchezza, un valore aggiunto che nel 2012 ha toccato i 100,8 miliardi di euro, ovvero il 10,6 % dell’economia nazionale. Un quota niente male nel contesto di crisi che tormenta oggi il Paese, soprattutto con i livelli di disoccupazione giovanile attuali. Largo allora alla formazione green per facilitare il rilancio dell’economia nazionale e dare speranza ai tanti giovani laureati italiani che grazie alle potenzialità del settore della green economy, possono ancora trovare occupazione e realizzazione nel loro Paese.