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“Transizione Energetica”, che sia la volta buona?

Finalmente ci siamo! Oggi viviamo in un’epoca nuova nella quale la transizione energetica del sistema produttivo non è stata posta al centro di una campagna elettorale, come troppo spesso in passato, ma al centro di un programma di Governo chiaro e strutturato la cui regia, guidata da una personalità concreta ed autorevole come Mario Draghi, ha tutti i presupposti per eccellere in capacità organizzativa e determinazione.

Questi sono fattori che saranno certamente posti in campo e che derivano da una profonda conoscenza dei meccanismi europei, qualità che quasi nessun altro Premier ha potuto vantare in precedenza a differenza dell’attuale che, al contrario, ha profondissima conoscenza dei meccanismi comunitari.

Ci troviamo quindi oggi con un Governo in carica che ha per la prima volta nella storia della Repubblica deciso di istituire il Ministero della Transizione Ecologica accorpando i temi dell’energia e del clima a quelli dell’ambiente, facendone il perno delle attività relative alla tutela dell’ambiente, alla lotta ai mutamenti climatici e allo sviluppo sostenibile finalizzato a rendere il nostro Paese resiliente rispetto a tutto quello che la situazione emergenziale in cui viviamo necessita.

Da parte di molti degli osservatori questa decisione è sembrata un passo concreto verso la realizzazione di politiche (non inutili proclami) che possano realmente comportare un’evoluzione del sistema produttivo nella direzione auspicata dal mondo della sostenibilità. La scelta del Ministro che dovrà guidare la transizione, Roberto Cingolani, ha viceversa creato dei malumori nel mondo ambientalista che vede nel Professore un vissuto slegato dai temi centrali della transizione, quali quelli legati alle energie rinnovabili, all’efficienza energetica e all’economia circolare, a fronte di un curriculum ricco e di primissimo piano relativamente all’attività di ricerca ed innovazione tecnologica più vicini al mondo tradizionale. Tuttavia non sfuggirà anche ai più prevenuti che questi elementi, ricerca e innovazione, sono centrali per trasformare un’idea e una visione del Paese in politiche innovative concrete, necessarie a cambiare il passo nel percorso di transizione del nostro Paese.

Centrale, a nostro modo di vedere, è capire se il neoministro, che ricopre un ruolo fondamentale nella compagine del Governo Draghi, dimostrerà anche capacità organizzativa e manageriale sufficiente a unire questi due dicasteri in uno, rendendo pienamente operativo in tempi rapidi e in maniera funzionale ed efficiente il nuovo Ministero della Transizione Ecologica. Cingolani, infatti, troverà certamente alcune resistenze dovute al fatto che il trasferimento delle competenze relative al settore energia dal Ministero dello Sviluppo Economico al Ministero dell’Ambiente dovrà necessariamente confrontarsi con le analoghe strutture già presenti e quindi definire una nuova struttura unica non sarà facilissimo.

Ovviamente l’auspicio è che questo possa avvenire in tempi estremamente rapidi visto che la programmazione relativa alla definizione del nuovo Piano Nazionale Integrato Energia e Clima e la rimodulazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non possono aspettare, visti i tempi formali di invio a Bruxelles e soprattutto la sua attuazione tempestiva per invertire la rotta del surriscaldamento globale quanto prima possibile, in modo da far fronte alle conseguenze catastrofiche verso le quali stiamo andando.

È inoltre estremamente importante segnalare come una visione lucida da parte di Draghi abbia individuato una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri composta da tutti i ministeri interessati alle attività di attuazione del programma relativo alla decarbonizzazione del Paese. La costituzione del Comitato interministeriale per la transizione ecologica è guidato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ha al suo interno come membri permanenti i Ministeri dell’Economia, dello Sviluppo Economico, delle Infrastrutture, del Lavoro e delle Politiche Agricole, oltre ovviamente il Ministero della Transizione Ecologica, ed è stato immaginato come una camera di compensazione necessaria a mettere insieme le varie posizioni dei soggetti titolati a esprimere pareri o indirizzare politiche concrete nella trasformazione degli indirizzi politici relativi al Green Deal europeo.

Purtroppo si deve segnalare, ancora una volta, che non è stato inserito come membro permanete il Ministero della Cultura (ex Mibact) che invece, nei fatti, è quello che da alcuni anni, per mano delle Soprintendenze, blocca ogni azione di sviluppo delle rinnovabili. Infatti la mancanza di autorizzazioni per nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili è figlia del pressoché costante diniego a ogni iniziativa da parte di questo dicastero e la sua presenza all’interno del Cite sarebbe stata necessaria. Invece, dopo un tira e molla, nell’ultima bozza era stato reinserito il Ministero all’Interno del testo, l’unica previsione rimasta è che “partecipano, altresì, gli altri Ministri o loro delegati aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche poste all’ordine del giorno”. Quindi di volta in volta verrà chiamato il Ministro Franceschini a esprimersi su singoli provvedimenti del Cite ma non ne farà organicamente parte.

I presupposti sono buoni e la strada ci sembra assolutamente condivisibile, ora è indispensabile che le buone intenzioni di questo Governo si traducano velocemente in buone pratiche, necessarie a semplificare gli iter autorizzativi e renderli coerenti con i tempi previsti dalle normative europee, senza le dinamiche di scontro ideologico che nel passato hanno reso inefficace ogni tentativo e disperso le poche risorse disponibili. Non c’è mai stato un momento più propizio a livello europeo per trasformare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e 2050 in reali politiche industriali che vedono nei settori dell’energia, dei trasporti e dell’economia circolare uno strumento di crescita economica e industriale in un contesto di tutela dell’ambiente e sviluppo occupazionale.

Sarà possibile finalmente coniugare la crescita del Paese con la salvaguardia del pianeta e dobbiamo farlo in tempi rapidi e con le molte risorse che finalmente sono state messe a disposizione. È una sfida che non possiamo più permetterci di perdere