Ci troviamo in un periodo cruciale per le politiche ambientali nazionali e internazionali e le recenti decisioni del Governo italiano di intervenire mettendo le mani in tasca ai produttori di energia da fonti rinnovabili rappresentano il punto più basso degli ultimi anni.
Tali scelte denotano una profonda sudditanza dell’Esecutivo nei confronti di alcuni settori produttivi di questo Paese a scapito di altri.
La giusta richiesta del tavolo della domanda di ridurre i costi dell’energia elettrica, con particolare riferimento a quei produttori energivori i cui costi dei prodotti dipendono in larga parte dal costo dell’energia elettrica, deve essere affrontata con provvedimenti strutturali e non con interventi sporadici e scomposti come il Governo Draghi ha recentemente deciso di fare.
Abbassare il costo dell’energia è un elemento centrale non solo per le industrie pesanti ma anche per tutti gli altri consumatori. Altrettanto importante, tuttavia, è sostenere quei settori industriali, come la generazione di energia da fonte rinnovabile, che possono giocare un ruolo fondamentale nella transizione ecologica e nel processo di decarbonizzazione in Italia.
Una crescita importante del settore industriale legato alla produzione di energia rinnovabile, inoltre, può essere un volano importantissimo in termini occupazionali e di sviluppo industriale che potrà avere importanti benefici nelle esportazioni nei prossimi decenni.
Il Governo, invece, ha ceduto al pressante stimolo di Confindustria rispetto a un intervento a favore di una piccola parte del loro sistema produttivo.
Analizzando quanto è successo si può dire che la politica abbia ceduto in maniera miope a un comparto che, oltretutto, si è lamentato della pochezza dell’intervento e ha destabilizzato tutto il settore delle rinnovabili; comparto che aveva finalmente dimostrato di essere competitivo da un punto di vista economico e di aver sviluppato una filiera nazionale solida e capace di accompagnare la transizione energetica del nostro Paese. A
Analizzando quanto successo, il Consiglio dei Ministri ha approvato un provvedimento che di fatto va a intervenire sui costi riconosciuti nell’ambito del mercato elettrico ad alcune tipologie di impianti. In particolare, come noto, il costo di formazione del prezzo di borsa avviene con il meccanismo del prezzo marginale, ovvero l’ultimo kilowattora venduto per ogni ora di mercato definisce il prezzo per tutta l’energia elettrica ceduta in quella stessa ora. Con l’intervento proposto dall’Esecutivo, invece, gli impianti idroelettrici non incentivati e quelli fotovoltaici incentivati dovranno restituire una percentuale significativa del prezzo riconosciuto a tutti gli altri produttori nonostante siano sul libero mercato. Questa previsione illiberale verrà inoltre applicata anche ai contratti tra privati.
Com’è evidente, una decisione di questo tipo, oltre a prestare il fianco a importanti rilievi di carattere giuridico, che senza dubbio le associazioni di settore faranno valere (l’ANEV, insieme agli associati produttori di energia eolica, si è già organizzata per far fronte in ogni modo a questa scelta), comporterà una serie di gravi criticità in termini operativi e una grave ripercussione rispetto alla finanziabilità delle nuove iniziative in market parity.
Molti grandi gruppi industriali che stavano progettando centrali eoliche e fotovoltaiche, da immettere sul mercato senza necessità di incentivi, hanno dovuto bloccare queste iniziative poiché l’attuale situazione di intervento retroattivo sui conti e la sterilizzazione dell’applicazione delle regole di mercato non garantisce stabilità e non consente loro di fare affidamento sulla regolare validità delle norme del settore per queste forme di energia.
In sostanza si è verificata una gravissima discriminazione rispetto alle tecnologie più pulite che non solo non ha fondamenta in reali motivazioni di carattere economico ma viene da molte parti letta come un atto ostile nei confronti del settore più promettente nella generazione elettrica nazionale.
Inoltre, il provvedimento proposto rischia seriamente di non essere applicabile per come lo stesso è stato scritto, poiché, secondo alcuni importanti osservatori, denota una mancanza di conoscenza dei meccanismi di mercato.
Insomma, ci troviamo di fronte a un pasticcio veramente brutto che non consentirà di risparmiare nulla e in prospettiva comporterà ripercussioni molto gravi sulla crescita industriale: oggi, com’è noto a tutti, il prezzo dell’energia è fissato dal gas e l’aumento indiscriminato dei costi dell’energia elettrica dipende esclusivamente dall’aumento dei costi di approvvigionamento del gas; per questo intervenire sulle rinnovabili per calmierare il prezzo è un controsenso e un’assurdità.
Si sarebbe dovuto invece agire su quel settore andando eventualmente a recuperare gli extra margini che quegli impianti stanno facendo; ovvero, se la situazione di emergenza lo avesse richiesto, intervenire su tutti gli impianti di produzione.
Da segnalare, inoltre, che proprio un incremento del prezzo dell’energia in maniera così elevata ha comportato un extra gettito derivante dall’Iva a vantaggio delle casse dello Stato. Quindi, si sarebbe potuto utilmente intervenire su quello, avendo un beneficio immediato senza altri problemi per l’economia dello Stato.
Analogamente, forse ancora meglio, si sarebbe potuto interrompere quel meccanismo perverso chiamato capacity market che regala oltre un miliardo di euro agli impianti fossili per stare fermi.
Insomma, il colpo di coda del vecchio armamentario fossile del nostro Paese ha partorito un intervento palesemente illegittimo e soprattutto largamente iniquo, sufficiente a dare risposte al settore e foriero di ripercussioni negative per il Paese.
Speriamo che la conversione in legge del provvedimento consenta un aggiustamento del testo, correggendo alla base l’impostazione illiberale e punitiva per un settore che, invece, lo stesso Governo Draghi continua a ripetere di ritenere centrale per lo sviluppo nazionale.
Se questo non avverrà, avremo l’ennesima riprova del fatto che le rinnovabili vengono viste come un elemento positivo solo quando non si possono fare. Blocchi amministrativi, penalizzazioni retroattive e discriminazioni tecniche degli ultimi anni hanno zavorrato lo sviluppo di questo comparto che, invece, garantirebbe grandi quantità di energia a prezzo più basso, riduzione dell’inquinamento atmosferico e delle emissioni climalteranti, sviluppo industriale e occupazionale.
Deve essere chiaro a tutti che la mano che ha scritto quel provvedimento è una mano che tende a colpire e a bloccare la crescita del comparto a scapito del Paese.
Tra l’altro è curioso come Confindustria, che dovrebbe rappresentare il comparto industriale e produttivo nazionale, sia tanto miope che, per avere l’elemosina rispetto a una riduzione di oneri di sistema per una piccola parte dei propri associati, vada a uccidere quello che è il comparto in prospettiva più rilevante in termini di crescita futura per il Paese.
Ma ovviamente molto più grave è il fatto che il Governo si lasci tirare per la giacchetta senza mantenere coerenza nelle politiche di sviluppo del settore energetico.
Ora serve un rapido dietrofront dell’Esecutivo che ponga rimedio a uno dei provvedimenti più illiberali che si siano visti negli ultimi anni. Intervenire su contratti fra privati e stabilizzare i prezzi di borsa formati secondo regole di mercato è qualcosa che non ritenevamo possibile vedere nel nostro Paese e tanto meno con il premier Draghi a presiedere il Consiglio dei Ministri che approva tali norme.
Siamo convinti che questa svista verrà raddrizzata dalla politica, se ne avrà la forza e la capacità, oppure dalla Giustizia europea o nazionale nei tempi più rapidi possibili; certo è che resterà comunque una grave vergogna per chi ha immaginato e approvato questo provvedimento, del quale dovrà dare giustificazione a tutti i comparti colpiti.