Non servono nuovi obiettivi di decarbonizzazione ma anticipare il raggiungimento di quelli previsti al 2030
Solo un anno fa eravamo nel pieno della pandemia con produzioni bloccate, lockdown e consumi energetici praticamente al minimo. Nessuno, o quasi, poteva immaginare quello che sarebbe successo nel mondo a meno di dodici mesi.
L’attuale situazione internazionale è molto grave e sotto gli occhi di tutti per la crudeltà che ogni guerra comporta. Le popolazioni coinvolte stanno vivendo gravissime conseguenze che speriamo possano presto finire.
In una prima fase molti osservatori hanno relegato la questione “a fatto locale” e riguardante popoli lontani dall’Occidente, Russi e Ucraini, molto diversi da quelli Europei; tuttavia, un eventuale allargamento di tale situazione è da molti temuta e rischierebbe addirittura di sfociare in un conflitto mondiale!
Questa eventualità deve essere ovviamente evitata in ogni modo. Intanto, il conflitto si già ripercuote violentemente su di noi, da molti punti di vista.
Il primo e più evidente è quello energetico, dovuto in larga parte dalla dipendenza dell’Europa, o di parte di essa, dagli idrocarburi russi, che sta avendo riflessi fortissimi sulla vita del Vecchio Continente. Infatti, da un lato, avremmo dovuto capire dal lento aumento dei costi delle fossili negli ultimi mesi che la Russia stava facendo qualcosa di poco trasparente (riempiva le tasche di euro in vista di un’azione militare lunga e costosa). Dall’altro, ancor più, avremmo dovuto comprendere come dipendere dall’estero per soddisfare il nostro fabbisogno energetico sia un errore prospettico e strategico di gravità elevatissima.
Tanto più grave se si considera che, se fino al decennio scorso non vi erano nei fatti soluzioni alternative, almeno da un paio di lustri abbiamo invece tecnologie disponibili che ci avrebbero consentito di affrancarci completamente dalla dipendenza energetica estera.
Tale strategia, che l’Europa ha codificato con gli accordi di Parigi e l’Italia ha ratificato con il Green New Deal (strategia di decarbonizzazione dell’energia prevista entro il 2050), vede come punto centrale l’abbandono dell’utilizzo di fonti fossili nel minor tempo possibile.
Il nostro Paese, tra l’altro, ha una capacità rinnovabile molto importante grazie alla presenza di tanto idroelettrico già sfruttato che, sommato alle nuove rinnovabili -eolico e fotovoltaico – ci può portare a essere pienamente indipendenti dal gas russo ben prima di altri Stati.
Dunque, perché nulla o quasi si è fatto in questa direzione? Perché le politiche energetiche nazionali hanno subito così fortemente i condizionamenti di chi da quella situazione di dipendenza ci ricavava (e ricava) grandissimi profitti?
Occorre ricordare che, a fronte di tempi autorizzativi previsti di 6 mesi, in Italia ci vogliono almeno 5 anni per una autorizzazione Fer. Oggi i ritardi accumulati nel piano di decarbonizzazione dell’Italia stanno comportando un rallentamento nella transizione che non è accettabile e che rischiamo di pagare carissimo.
Se, infatti, è giusto che tutti si esprimano nelle procedure di autorizzazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili, non è accettabile che le Soprintendenze diano solo pareri negativi (su 9.000 MW presentati al Ministero dal 2017 nessun progetto ha avuto pareri positivi) e spesso senza che vi siano vincoli nelle aree oggetto degli interventi.
Su questo il Governo dovrebbe velocizzare molto di più. I recenti sforzi dell’Esecutivo Draghi per sbloccare le rinnovabili, sbandierati ai quattro venti come se fossero stati risolti i problemi della burocrazia italiana, di fatto hanno interessato una percentuale molto piccola rispetto alla mole di progetti bloccati e che potrebbero essere sbloccati in pochi giorni!
Tra l’altro, non si capisce quali criteri siano stati utilizzati e perché: è bene chiarire che i progetti interessati non sono stati autorizzati ma solo sbloccati per quanto riguarda la Valutazione di Impatto Ambientale; ora dovranno completare l’iter autorizzativo nelle Regioni di appartenenza.
In conclusione, analizzando i dati ufficiali relativi al bilancio energetico del nostro Paese, si nota come l’Italia sia ancora fortemente sbilanciata sul lato della produzione elettrica verso le fonti fossili e questo comporta tre rischi: il primo è di carattere strategico e di sicurezza (importando la stragrande maggioranza dei combustibili fossili il rischio è che non potremo più farlo qualora il Paese dal quale li importiamo decida di darli ad altri); il secondo riguarda i costi (produrre energia elettrica con l’eolico e il fotovoltaico costa meno rispetto alle fossili, anche prima del caro gas dovuto alla Russia, o il nucleare); il terzo è di carattere ambientale (per combattere i mutamenti climatici e l’inquinamento atmosferico).
Come vediamo, non c’è motivo per non passare quanto prima possibile alle fonti rinnovabili e per farlo sarebbe sufficiente velocizzare il percorso che il nostro Governo ha già indicato al 2030. Serve un’azione decisa di velocizzazione delle procedure autorizzative e una maggiore chiarezza sulle regole: non ha senso bloccare la transizione ecologica in nome di una tutela del paesaggio davanti a opere che, per loro natura, verranno rimosse non appena l’emergenza sarà superata con il paesaggio che tornerà come prima!
Diamoci una mossa nell’interesse dell’Italia, ne beneficerebbero le imprese che a livello nazionale vedrebbero ridotti di molto gli oneri della bolletta energetica, grazie al passaggio dal gas alle Fer. e avrebbero la garanzia della continuità degli approvvigionamenti. Ne beneficerebbe anche l’industria nazionale che è esportatrice di tecnologia, almeno nell’eolico, e inoltre avremmo i ritorni occupazionali di un territorio, il nostro, vocato alla produzione di energia dal sole e dal vento.
Non ci sono più scuse e chi non faciliterà questa transizione, con l’obiettivo di anticipare il raggiungimento degli obiettivi al 2030, dovrà essere considerato complice della grave situazione nella quale ci ritroviamo oggi.
FUORI TESTO
indipendenza energetica, riduzione del caro bollette e tutela dell’ambiente