La politica energetica, come tutte le politiche di medio e lungo periodo, ha necessità di interlocutori validi e prospettive solide.
Nel nostro Paese, purtroppo, la durata media di un Esecutivo è di pochi anni e questo comporta una serie di difficoltà, come il ripetersi troppo frequente delle lunghe e inevitabili fasi organizzative.
Innanzitutto, bisogna considerare i tempi tecnici necessari alla formazione di Governi e maggioranze parlamentari, la definizione dei ruoli apicali per i ministeri e la forse ancor più complessa costituzione degli uffici di diretta collaborazione, composti da persone di fiducia per i nuovi responsabili politici e dotati di caratteristiche ben specifiche per poter garantire la funzionalità del dicastero all’interno del quale lavorano.
Vi sono, infine, dei ruoli ricoperti da funzionari e dirigenti nei vari ministeri che, seppur fondamentali per il funzionamento dell’attività, sono ricoperti da soggetti che non legano il loro destino a quello del ministro di turno ma, viceversa, svolgono la loro azione indipendentemente da chi in quel momento comanda all’interno della struttura.
Negli ultimi tempi, su questo tema, ci sono state diverse prese di posizione, anche molto autorevoli, su come dovesse essere gestita la transizione tra un Esecutivo e l’altro.
Possiamo dire che i punti di vista sono almeno due. Da un lato quelli che ritengono necessario un meccanismo di “spoil system” più profondo di quello attualmente esistente, in modo da avere una macchina amministrativa politicamente molto orientata e allineata al colore di chi governa.
L’altra tesi suggerisce invece di ridurre la profondità dello “spoil system”, dando ricambio solo alle primissime linee, visto che la stragrande maggioranza di direttori, dirigenti e funzionari dovrebbe rispondere solo a criteri di competenza.
Forse, come spesso succede, la soluzione ideale non esiste. A ben pensarci ognuna di queste due opzioni ha dei punti deboli. Se la classe dirigente fosse esclusivamente individuata sulla base della sola aderenza all’Esecutivo del momento il rischio più grave sarebbe quello di una mancanza di competenze e capacità che comporterebbe, nei fatti, un blocco dell’attività amministrativa.
Allo stesso tempo, nel caso in cui si scegliessero soltanto dei bravi burocrati capaci di far funzionare la macchina ma che non condividessero la visione politica del Governo pro tempore, il rischio sarebbe di avere persone meno motivate rispetto all’obiettivo, con un possibile rallentare funzionale delle attività.
Si potrebbe pensare, dunque, a una soluzione mista che combini persone scelte dai partiti con tecnici valutabili sulla base di risultati oggettivi.
Analizzando quello che è successo negli ultimi decenni, però, i tecnici di area, che quindi coniugano i due elementi principali di condivisione politica e capacità amministrativa, sono sostanzialmente spariti e i partiti non hanno saputo portare avanti una sufficiente formazione di manager, funzionari ed esperti nei vari settori.
Dirimere la questione non è una cosa facile, anche se meriterebbe certamente un maggior approfondimento.