Lo sforzo del Governo Meloni di realizzare un piano efficace e sostenibile di transizione energetica rischia di scontentare tutti se, da un lato, viene ribadito l’obiettivo di arrivare a una decarbonizzazione della produzione energetica nazionale e, dall’altro, si cerca di contemperare tale piano con una supposta razionalità che affianchi allo sviluppo delle rinnovabili anche una rinascita del nucleare.
Questo processo sta rallentando lo sviluppo delle rinnovabili, sempre più in ritardo rispetto agli obiettivi assunti dallo stesso Esecutivo, e sta dando speranze di rinascita a un comparto che sconta la contrarietà referendaria.
Oggi la politica energetica necessità di grande conoscenza dei meccanismi economici di formazione del prezzo e di comprensione tecnica rispetto alle singole fonti, mediando questi aspetti con valutazioni di carattere geopolitico.
Definire una strategia energetica nazionale, infatti, è un’azione estremamente complessa e altamente rischiosa, come si è potuto vedere nella crisi energetica degli ultimi anni. Tuttavia, esiste per questo motivo un’azione a livello europeo che mira a rendere il Vecchio Continente più autonomo nell’importazione di materie prime e sempre più neutro rispetto alle emissioni climalteranti e inquinanti.
A fronte di questi elementi, come si accennava prima, bisogna aggiungere un aspetto sociale che riguarda la disponibilità elettrica per aziende e privati in una quantità sufficienti a soddisfare la domanda e a prezzi accessibili.
Proprio per questi motivi sembra utopistico immaginare di poter rimettere in piedi una filiera del nucleare che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe arrivare a una nuova produzione nel nostro Paese non prima della conclusione di un paio di mandati elettorali e, comunque, con diseconomie tali da non consentire di prevedere che tale energia possa essere generate a prezzi concorrenziali rispetto a quella da fonti rinnovabili.
La complessità nel definire un piano energetico nazionale è quella di mettere insieme molti aspetti, a partire dall’arco temporale all’interno del quale il piano stesso è destinato ad avere effetto. Dunque, è utopistico pensare di predisporre una strategia di questo tipo rimettendo in gioco tecnologie che hanno tempistiche di realizzazione non inferiori ai dieci anni, senza rischiare che le scelte vengano inficiate dai cambi di governo.
Una visione condivisa su questi temi infrastrutturali di lungo periodo sarebbe sempre auspicabile e consentirebbe di dare una certa garanzia rispetto al percorso di crescita industriale delle aziende che si occupano di quella specifica tecnologia, in modo che possano predisporre investimenti di medio e lungo periodo.
Non si tratta solo di dare un vantaggio alle aziende di un singolo settore ma di attrarre investimenti esteri in settori strategici per il nostro Paese.
Quello che, in particolare nel settore dell’energia, ha fatto spendere molti soldi inutilmente e stato il “tira e molla” fatto su obiettivi e tecnologie che, di volta in volta, venivano spinte o abbandonate, con la conseguente nascita di imprese per archi temporali molto piccoli e senza la costruzione di solide filiere tecnologiche nazionali.
Oggi abbiamo la possibilità di rimediare a questa politica “a fisarmonica” mettendo giù un piano di medio e lungo periodo che è già in gran parte delineato dagli obiettivi comunitari in materia e che, finalmente, possa consentire la crescita di una filiera nazionale, in particolare nei settori eolico e fotovoltaico, ovvero quelli che avranno da qui al 2050 la maggior crescita sia in termini occupazionali sia in termini di produzione industriale ed energetica.
Per far sì che questo avvenga, tuttavia, bisogna da subito realizzare una strategia chiara e condivisa che, basandosi sul target di decarbonizzazione al 2030 e al 2050, individui per ogni singola tecnologia quali debbano essere gli ambiti di sviluppo.
Tale documento, già predisposto dal Governo e inviato a Bruxelles (PNIEC – Piano Nazionale Integrato Energia e Clima), racchiude tutti gli elementi necessari a farne un grande piano energetico; quello che manca è la consapevolezza e la condivisione di questi obiettivi sia all’interno dello stesso Esecutivo sia con le forze politiche fuori dalla maggioranza.
Basti pensare che, a fronte di innumerevoli domande di autorizzazione ambientale presentate per la realizzazione di impianti rinnovabili, il Ministero della Cultura quasi sempre rilascia parere negativo generando ritardi lunghissimi. Ciò rende di per sé inattuabile il raggiungimento degli obiettivi europei.
Altro esempio di grave contraddizione è quello relativo al recente decreto di individuazione delle aree idonee per la realizzazione di impianti rinnovabili con una procedura autorizzativa semplificata, fermo da mesi proprio perché il Ministero della Cultura e le Sovrintendenze hanno individuato dei criteri che, di fatto, non consentono di realizzare nuovi impianti rinnovabili in misura adeguata alle necessità.
Analogo dicasi per la ripartizione degli obiettivi nazionali di realizzazione delle fonti rinnovabili per singola Regione, previsti anch’essi all’interno di un decreto ministeriale che, tuttavia, le stesse Regioni stanno contestando perché giudicati troppo sfidanti.
In conclusione, definire una politica energetica richiede la capacità di avere una visione a 360 gradi lucida e di lungo periodo, senza la quale il rischio è di ripetere gli errori del passato.
Rischiamo di avere un sistema energetico che non garantisce autonomia e indipendenza dai Paesi esteri, non assicura economicità della produzione elettrica e non supporta la crescita industriale.
Per far sì che queste cose si sposino tra loro è indispensabile seguire quelli che sono i processi individuati a livello europeo e che indicano nello sviluppo delle rinnovabili l’unica soluzione possibile per raggiungere tutti gli obiettivi, anche quelli ambientali.
FUORI TESTO
Lo sviluppo delle rinnovabili è l’unica soluzione