Le proposte della Commissione Europea vanno ora al vaglio del Parlamento Europeo
Hanno preso carta e penna le associazioni ambientaliste Greenpeace, Legambiente, WWF e il Coordinamento FREE – che raggruppa le principali associazioni di imprese del settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica – e hanno scritto al Presidente del Consiglio Enrico Letta.
Il motivo è il dibattito che precede la decisione sulle politiche europee in materia di clima ed energia.
Otto ministri europei, tra cui il Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, hanno sottolineato la necessità di fissare obiettivi ambiziosi e vincolanti non solo sul taglio della CO2 ma anche sulle fonti di energia rinnovabile e sull’efficienza.
«Il pacchetto 20-20-20 ha infatti mostrato come quasi la metà della riduzione delle emissioni di CO2 in UE sia stata ottenuta proprio dallo sviluppo del settore delle fonti rinnovabili» scrivono gli ambientalisti.
«Ma gli obiettivi al 2020, almeno per quanto riguarda la CO2, sono già stati sostanzialmente raggiunti, segno che erano troppo poco ambiziosi; occorre dunque proseguire in una strada che metta assieme rispetto per l’ambiente, sviluppo economico, nuova e qualificata occupazione, maggiore indipendenza energetica»”.
Sono ben poche d’altronde le questioni per le quali si possono trovare assieme nella stessa posizione ambientalisti e associazioni di impresa così come ampi settori del mondo sindacale.
Il pacchetto 2030 della Commissione Europea fa seguito al cosiddetto pacchetto 20-20-20 che prevede tre obiettivi: taglio del 20 per cento delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, produzione di energia con fonti rinnovabili al 20 per cento e un obiettivo non vincolante di riduzione dei consumi energetici (efficienza) del 20 per cento rispetto allo scenario business as usual.
Gli obiettivi per il 2030 e le politiche attualmente in via di pianificazione nella Commissione sono però inadeguate alla necessaria trasformazione del settore energetico dell’UE.
Non garantiscono la riduzione di emissioni necessaria per contenere l’innalzamento della temperatura globale sotto i 2°C: anche un obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni di CO2 del 40 per cento non è sufficiente.
Uno scenario della Commissione prevede che le emissioni caleranno comunque, in assenza di qualsivoglia intervento, del 32 per cento entro il 2030.
Un taglio del 40 per cento non coprirebbe la fetta di emissioni della “torta” globale che deve tagliare la UE e non consentirebbe di eliminare il surplus di emissioni tollerate che sta minando il funzionamento dell’ ETS.
Al 2012 la UE ha già ridotto le sue emissioni di CO2 del 18 per cento (rispetto al 1990). È praticamente certo che al 2020 si superi l’obiettivo del 20 per cento, e si arrivi al 24 per cento.
Greenpeace sostiene un obiettivo, basato su dati di scienza, di almeno il 55 per cento, senza l’uso dei crediti di compensazione (offset creditis). Lo scenario di Greenpeace “Energy [R]evolution” per la UE mostra che quest’obiettivo è realistico.
Un obiettivo vincolante sulle rinnovabili
Alcuni paesi dell’Unione Europea sostengono che un obiettivo vincolante sulle rinnovabili aumenterà i costi per gli utenti. Tuttavia le alternative per i contribuenti non sono certo convenienti.
Nel 2011 i settori del nucleare e dei carburanti fossili hanno assorbito congiuntamente 60 miliardi di euro di sussidi pubblici – il doppio della somma assegnata ai produttori di energia rinnovabile nello stesso anno.
Nel 2013, l’Europa si avviava a spendere 500 miliardi di euro solo in importazioni di petrolio, partendo da una media di 139 miliardi di euro all’anno tra il 2000 e il 2010. Le importazioni di gas e carbone hanno dunque contribuito ad aumentare le tasse ancora di più.
Gli stessi calcoli della Commissione mostrano che gli obiettivi vincolanti sulle rinnovabili e l’efficienza energetica possono garantire mezzo milione in più di posti di lavoro entro il 2030, più di quanto possa fare il solo obiettivo vincolante sulle emissioni.
Questi nuovi posti si aggiungerebbero agli 1,2 milioni di posti di lavoro già creati in Europa dall’industria delle rinnovabili, con un tasso di crescita del 30 per cento dal 2009 nonostante ci si trovi nel mezzo della peggiore fase di recessione da un secolo a questa parte.
Oltre 70 compagnie energetiche e associazioni come Dong Energy, EnBW, Alstom e Vestas, hanno chiesto un obiettivo vincolante sulle rinnovabili insieme a un preciso obiettivo per il clima.
Otto di loro hanno sottolineato che gli attuali prezzi dell’energia nella UE sono “principalmente determinati dal prezzo globale dei combustibili fossili” e hanno suggerito come la Ue debba ridurre “la sua esposizione alla volatilità dei prezzi delle fossili”.
Business Europe, una rete di lobby delle industrie, segue le compagnie energetiche delle fossili e del nucleare, ma alcune delle principali compagnie che la sostengono, come Philips e Unilever si sono espresse a favore di più obiettivi.
I ministri europei dell’energia e dell’ambiente discuteranno la proposta della Commissione il 3 e 4 marzo.
Il 21 e 22 marzo, invece, capi di Stato e Governi si incontreranno per un summit convocato appositamente per raggiungere un accordo.
Alla Conferenza sul clima di Varsavia di novembre 2013, le nazioni hanno sottoscritto un accordo che impegna i governi a presentare i loro piani di salvaguardia del clima post-2020 entro il primo quadrimestre del 2015, prima della Conferenza sul clima di Parigi, prevista per la fine dell’anno .
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Bocciata la centrale a carbone
Niente via per il progetto di conversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle. La Commissione Via del Ministero per l’Ambiente ha bocciato nuovamente a gennaio la procedura autorizzativa. Enel, se vuole, dovrà presentare un nuovo progetto e un nuovo studio di impatto ambientale. Potrebbe accadere, nonostante l’Italia disponga già di un parco di generazione elettrica praticamente doppio rispetto alle necessità di consumo nazionali e non abbia bisogno di nuove centrali alimentate con fonti fossili.
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