In un recente paper dell’Oxford Institute for Energy Studies (Electriciy markets are broken: can they be fixed?), Malcolm Keay, nell’analizzare le diverse modalità con cui si sta cercando di riformare un mercato elettrico in profonda crisi, parte da una considerazione largamente condivisa: con le attuali regole del gioco, anche se competitivi, eolico e fotovoltaico, avendo costo marginale pressoché nullo, continuerebbero a impedire il corretto funzionamento di un mercato spot, che seleziona le offerte sulla base del loro costo marginale. Si arriva infatti al paradosso di prezzi che, nel momento di massima domanda, possono addirittura diventare negativi; un’assurdità destinata a danneggiare le prospettive sia delle rinnovabili che delle altre tecnologie.
Secondo Keay, da questa diagnosi condivisa sono però scaturite proposte di riforma, che innanzi tutto non si preoccupano di verificare la loro capacità di garantire una ordinata “exit strategy” dalla situazione attuale, governando senza inaccettabili contraccolpi negativi la transizione al nuovo modello di mercato: una carenza che può compromettere il buon esito anche di soluzioni apparentemente positive. Inoltre, fra quelle esaminate nessuna sembra in grado di soddisfare per intero le condizioni essenziali per il buon funzionamento di un mercato elettrico, il cui mix produttivo sarà sempre più determinato da politiche energetiche low carbon, in quanto non sono presenti tutte le regole necessarie a: 1) consentire la coesistenza del mercato spot con uno di lungo termine, destinato alle rinnovabili non programmabili; 2) fornire segnali adeguati ad orientare gli investimenti; 3) promuovere una più attiva partecipazione dei consumatori.
Il paper si distingue quindi da analoghi studi sul mercato elettrico anche perché si preoccupa di garantire che i benefici della concorrenza siano equamente ripartiti fra produttori e consumatori. E lo fa partendo dall’analisi dell’attuale debolezza della domanda, dovuta non solo alle asimmetrie informative, ma anche agli abiti culturali dei consumatori e a fattori psicologici, che possono condizionare la percezione dei costi delle transazioni. Questo approccio, molto realistico, porta Keay a giudicare criticamente sia le riforme che non si preoccupano di valorizzare adeguatamente il ruolo della domanda, sia quelle che, per avere successo, richiederebbero consumatori più informati di quanto potranno realisticamente diventare.
Inoltre, il paper è particolarmente critico nei confronti delle riforme che introducono indebite limitazioni al libero dispiegarsi del mercato. A una di queste, il mercato della capacità, dedica addirittura un’appendice, dove si legge: “nei mercati della capacità, il potere decisionale è trasferito ai governi o ai produttori, per cui è inevitabile che le loro scelte siano nella migliore delle ipotesi arbitrarie, nella peggiore dettate da motivazioni politiche”. Altrettanto severo è il giudizio sulla riforma adottata nel Regno Unito che, attribuendo di fatto al governo un peso determinante nella definizione dei prezzi di vendita del kWh, oltre a rendere probabili distorsioni nel funzionamento del mercato, non incentiva la flessibilità nell’esercizio degli impianti, a scapito di una maggiore efficienza dello stesso mercato.
Nella parte conclusiva del rapporto, Keay avanza una proposta di riforma, che definisce “soluzione a due mercati”. In uno avvengono le transazioni dell’elettricità offerta “when available” (rinnovabili non programmabili); nell’altro le transazioni “on demand”, cui partecipano le produzioni sempre disponibili. Nel primo i prezzi consentirebbero il recupero degli investimenti mediante meccanismi di contrattazione a lungo termine. Tuttavia, proprio per la discontinuità dell’energia offerta, i prezzi dovrebbero essere inferiori a quelli del mercato “on demand”; obiettivo realizzabile se si introduce un’efficace penalizzazione della CO2 emessa dagli impianti a combustibili fossili, che permetterebbe altresì di ridurre al minimo, e in più di un caso azzerare, gli incentivi alle rinnovabili.
L’esistenza di prezzi certi e più bassi porterebbe automaticamente il consumatore consapevole a utilizzare prioritariamente l’energia offerta sul mercato del “when available”, che sarebbe limitata solo quando eccede la domanda. Per consentire la partecipazione dei piccoli consumatori a questo mercato, il rapporto suggerisce l’adozione di innovazioni tecnologiche che, opportunamente programmate, possono in modo automatico fornire gli strumenti per una loro presenza attiva. Nell’immediato, si tratta di soluzioni che possono inserirsi convenientemente nel processo di digitalizzazione delle reti e della relativa strumentazione (in primis i contatori digitali): ad esempio, elettrodomestici dotati di microchip in grado di attivarli ogni qual volta viene offerta energia sul mercato del “when available”. Chi non disponesse delle tecnologie richieste, perderebbe i vantaggi del kWh a prezzi più bassi e sarebbe quindi invogliato a dotarsene, accelerando la ”exit strategy” dal mercato attuale.
Su tempi più lunghi, in un mercato così concepito non avranno difficoltà a trovare un ruolo anche le tecnologie di accumulo elettrico che, secondo Keay, stanno sviluppandosi rapidamente, ma non è per ora chiaro quando saranno economicamente convenienti su piccola scala, in modo da consentirne l’utilizzo a livello decentrato.
Ovviamente si può dissentire in toto o in parte dalle analisi e dalle proposte contenute nel paper dell’Oxford Institute for Energy Studies ma, qualunque sia il giudizio di merito, non si può negare loro il pregio di avere dimostrato che esistono possibilità di raddrizzare il mercato elettrico più efficaci di quelle assunte da molti decisori; compresi quelli di casa nostra.